Burnout: il rumore di fondo di questo tempo

A differenza di ciò che chiamiamo “esaurimento nervoso”, il “burnout” – una sorta di collasso fisico e mentale causato dallo stress o dal troppo lavoro – non comporta necessariamente l’incapacità di portare avanti ciò che dobbiamo fare tutti i giorni. C’è tanta gente in burnout che pur sentendosi sempre più stravolta riesce comunque, in qualche modo, a fare quello che va fatto da quando ci si alza in piedi al mattino a quando si torna a dormire.

Avete fatto caso a quante gente da quando è scoppiata questa pandemia dice di essere stanca morta, sopraffatta dalla routine lavorativa, sempre più esausta? Avete notato quante persone raccontano di avere avuto attacchi di panico, difficoltà a dormire, avvisaglie di depressione? Io me lo sento raccontare almeno una volta al giorno, ogni volta che parlo con clienti, fornitori, professionisti, gente che lavora.

Ho letto uno studio che dimostra, numeri alla mano, che l’esperienza globale del lockdown ha portato tante persone ad interrogarsi sulla qualità della propria vita, evidenziando in modo chiaro a quante cose rinunciano ogni giorno per tenere i ritmi lavorativi che si sono imposte, sottolineando come un terzo degli intervistati sia infelice sul luogo di lavoro. La cosa mi ha colpito.

Negli Stati Uniti, dove non sanno cosa significhi il termine “posto fisso”, nella seconda metà del 2021 hanno mollato il proprio posto di lavoro 25 milioni di persone, come la metà degli abitanti del nostro Paese. Alcune di queste persone si sono licenziate per cercare un lavoro migliore. Milioni di altre persone hanno mollato tutto per prendersi cura di sé o di un familiare ammalato, per andare in pensione o, più semplicemente, perché erano infelici.

Quando ho fondato la mia azienda ho pensato: passerò in ufficio 12 ore al giorno, deve essere un ambiente positivo. Come possono testimoniare i miei compagni di viaggio, al primo colloquio ho sempre ripetuto la stessa frase: “al suono della sveglia, ogni mattina, vorrei che vi svegliaste felici di venire in ufficio”. Lavorare da noi penso non sia poi così male. Per carità, non è che sia una festa tutti i giorni. Ci incazziamo, discutiamo animatamente, teniamo il broncio e facciamo i capricci, come in ogni buona famiglia. Ma credo che tutto sommato la nostra realtà lavorativa sia migliore di molte altre.

Quello che mi preoccupa è il carico di stress che portiamo tutti sulle spalle. Già era dura prima del Covid, ma oggi a questo carico si è aggiunta la pandemia con i suoi lutti e la paura per i nostri cari, con le progressive limitazioni della nostra libertà, con la crisi economica con le sue derive sociali. Si è sommata un’incertezza corale che spazia dalla vita privata a quella pubblica, oltre al desiderio di ripartire che oggi si schianta a 300 km/h contro i muri della crisi energetica e di quella delle materie prime.

Da oltre 2 anni non sentiamo altro che brutte notizie e quando proviamo a rilassarci sui social veniamo sporcati dal veleno della grettezza, dell’ignoranza e della mediocrità che sale in cattedra ad insegnarci la vita.

Anche l’età gioca il suo ruolo. Secondo lo studio che ho letto, quasi il 40% dei millenials (parliamo di persone nate tra il 1981 e il 1996) sostiene di avere affrontato il burnout. Quelli come me che appartengono alla Generazione X tengono botta, ma ci è finito sotto il 25% degli intervistati, praticamente 1 su 4. Solo il 15% dei boomer dichiarano di avere affrontato un burnout: quelli hanno la pellaccia dura e non mollano lo scranno.

Credo sia ormai chiaro a tutti che il burnout, quello che non sfocia in esaurimento nervoso o si trasforma in depressione, non è qualcosa che si può curare con una vacanza. L’errore è stato considerare i comportamenti che ne derivano come una condizione temporanea, quando in realtà sono da tanto tempo, forse da prima del Covid, la nostra temperatura di base.

Se ne sono accorti tutti i grandi brand che stanno provando a correre ai ripari. Multinazionali, banche, mega studi di consulenza, catene di negozi stanno affrontando il tema del burnout diffuso con una certa apprensione. Avere gente bruciata tra i dipendenti costa parecchio di più rispetto a fare in  modo che l’ambiente di lavoro torni ad essere un po’ più felice e stimolante. E il tema del “riposo” fisico e mentale sta diventando prioritario.

Ho rapporti con aziende che dovrebbero prestare molta attenzione al modo di relazionarsi con il personale al proprio interno, così come con gli altri stakeholder, tra cui noi consulenti esterni. Sebbene lavorare con clienti di questo tipo possa essere incredibilmente gratificante, l’abitudine di alcune persone di tenere sempre alta la pressione, spesso senza ragione, diventa controproducente e compromette i risultati.

A compromettere la qualità del lavoro c’è anche, a mio avviso, l’uso sconsiderato che si fa delle app di messaggistica istantanea tipo Whatsapp. Ricevo centinaia (forse migliaia) di notifiche al giorno e diversi stramaledetti messaggi vocali che non riesco ad ascoltare in auto (perché il mio antiquato sistema non funziona) o mentre sono in riunione con i miei clienti. Una distrazione continua, senza soluzione di continuità, che ci porta ad iniziare mille cose senza riuscire a portarle a termine in modo ordinato, finendo per ritrovarsi con un’infinità di problemi aperti.

Chi utilizza lo smartphone per la propria professione, secondo una recente ricerca, resta connesso al suo lavoro per 13,5 ore al giorno: più o meno tutto il tempo in cui si è svegli, se non si contano i pasti. Senza contare che ormai non è più considerato se non altro ineducato inviare un messaggio di lavoro su Whatsapp in piena notte o nel weekend. Controllate anche voi la chat appena aprite gli occhi al mattino? Avete mai risposto ad un cliente mentre eravate al parco con i figli, al cinema, al ristorante o sotto l’ombrellone?

Se la distinzione tra vita professionale e vita privata vi appare sempre più sfumata, se ogni tanto sentite di avere la mente un po’ annebbiata, se vi scoprite troppo cinici, troppo sensibili, senza speranza, se avete interrotto le routine che vi piacevano, se vi da fastidio ascoltare la musica, se quello che vi divertiva non vi diverte più, se vi sentite sempre stanchi, esausti, sia fisicamente che emotivamente… bè, è tempo di correre ai ripari.

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