Susanna Camusso attacca Elsa Fornero: ”Bersani è con noi!”. Speriamo di no

Non è facile scrivere un editoriale sulla riforma dell’articolo 18. E’ un argomento delicato e credo che nessuno abbia in tasca la soluzione perfetta. L’unica cosa certa è che il sistema lavoro, in Italia, non funziona. Le aziende sono in crisi nera. I lavoratori non sono soddisfatti. C’è un divario mostruoso tra le tutele di alcune categorie di lavoratori e quelle di chi tenta di mettersi in proprio, di creare lavoro, di farcela con le proprie forze. Le giovani coppie, e soprattutto le giovani mamme, sono sole contro il sistema che resta dannatamente maschilista. Guai a mettere al mondo un figlio: significa dire addio ad ogni speranza di fare carriera. Significa che il papà deve farcela con il suo solo stipendio, oppure che lo stipendio della mamma – tornando a lavorare – finirà al 90% ad un asilo nido e alle eventuali baby sitter che si occuperanno del pupo nella fascia oraria tra la chiusura dell’asilo e l’uscita della mamma dal posto di lavoro. Ma questo è un altro tema…
Quando penso alla riforma dell’articolo 18 provo a mettermi nei panni dei lavoratori dipendenti, che – a sentire la Camusso – sono sul piede di guerra per la questione relativa ai licenziamenti per motivi economici. “Quelle della Fornero sono lacrime di coccodrillo,” sbraita la leader della CGIL. “Bersani e il PD sono con noi”. Mi piacerebbe che la Camusso si mettesse nei panni di chi, come me, ha un’aziendina che cerca di stare a galla in un periodo difficile. Il tessuto imprenditoriale italiano, va ricordato, è composto principalmente da microimprese, piccole e medie aziende, liberi professionisti con partita Iva. Perché, mi domando, le leggi vengono fatte pensando solo alla Fiat e agli imperi industriali? Perché i sindacati non pensano un pochino a tutelare anche i piccoli imprenditori, i commercianti, gli artigiani e quelli che creano impresa con enormi sacrifici e rischi fuori dal comune? Perché non provare a prendere ispirazione da sistemi migliori del nostro? Si, perché alla fine qualcuno mi dovrebbe spiegare perché un imprenditore con 15 dipendenti dovrebbe tenersi a vita i lavoratori lazzaroni, senza potersi permettere di assumere ragazzi più volenterosi, e quindi colando a picco con tutta la baracca. Il sistema dovrebbe premiare la volontà e il talento, mentre così com’è finisce per trattare alla stessa maniera chi si impegna al massimo e chi non ha voglia di fare un tubo.
Le imprese italiane competono ogni giorno con quelle americane, inglesi, francesi, turche, cinesi. La battaglia si gioca sul talento, sulla capacità di essere migliori, e anche sul costo del lavoro (in Italia è così alto che il prodotto non riesce più a competere in alcun modo a livello internazionale). Chi è mediocre è destinato ad essere spazzato via. Chi non si aggiorna è destinato a fallire. Chi non investe in innovazione e resta ancorato al passato ha i giorni contati. E forse è anche giusto che sia così. Purtroppo le imprese italiane non hanno la forza, soprattutto in questo momento, per investire sulla qualità.
Alla fine mi chiedo: perché l’imprenditore non dovrebbe avere il diritto di scegliere chi assumere e chi licenziare? E’ una domanda retorica, non mi aspetto una risposta semplice. Tuttavia nei momenti di crisi il sistema evidenzia in modo inconfutabile i propri difetti. E qualche sacrificio andrà pur fatto per provare a migliore le cose, non trovate?

Non è facile scrivere un editoriale sulla riforma dell’articolo 18. E’ un argomento delicato e credo che nessuno abbia in tasca la soluzione perfetta. L’unica cosa certa è che il sistema lavoro, in Italia, non funziona. Le aziende sono in crisi nera. I lavoratori non sono soddisfatti. C’è un divario mostruoso tra le tutele di alcune categorie di lavoratori e quelle di chi tenta di mettersi in proprio, di creare lavoro, di farcela con le proprie forze. Le giovani coppie, e soprattutto le giovani mamme, sono sole contro il sistema che resta dannatamente maschilista. Guai a mettere al mondo un figlio: significa dire addio ad ogni speranza di fare carriera. Significa che il papà deve farcela con il suo solo stipendio, oppure che lo stipendio della mamma – tornando a lavorare – finirà al 90% ad un asilo nido e alle eventuali baby sitter che si occuperanno del pupo nella fascia oraria tra la chiusura dell’asilo e l’uscita della mamma dal posto di lavoro. Ma questo è un altro tema…

Quando penso alla riforma dell’articolo 18 provo a mettermi nei panni dei lavoratori dipendenti, che – a sentire la Camusso – sono sul piede di guerra per la questione relativa ai licenziamenti per motivi economici. “Quelle della Fornero sono lacrime di coccodrillo,” sbraita la leader della CGIL. “Bersani e il PD sono con noi”. Mi piacerebbe che la Camusso si mettesse nei panni di chi, come me, ha un’aziendina che cerca di stare a galla in un periodo difficile. Il tessuto imprenditoriale italiano, va ricordato, è composto principalmente da microimprese, piccole e medie aziende, liberi professionisti con partita Iva. Perché, mi domando, le leggi vengono fatte pensando solo alla Fiat e agli imperi industriali? Perché i sindacati non pensano un pochino a tutelare anche i piccoli imprenditori, i commercianti, gli artigiani e quelli che creano impresa con enormi sacrifici e rischi fuori dal comune? Perché non provare a prendere ispirazione da sistemi migliori del nostro? Si, perché alla fine qualcuno mi dovrebbe spiegare perché un imprenditore con 15 dipendenti dovrebbe tenersi a vita i lavoratori lazzaroni, senza potersi permettere di assumere ragazzi più volenterosi, e quindi colando a picco con tutta la baracca. Il sistema dovrebbe premiare la volontà e il talento, mentre così com’è finisce per trattare alla stessa maniera chi si impegna al massimo e chi non ha voglia di fare un tubo. Le imprese italiane competono ogni giorno con quelle americane, inglesi, francesi, turche, cinesi. La battaglia si gioca sul talento, sulla capacità di essere migliori, e anche sul costo del lavoro (in Italia è così alto che il prodotto non riesce più a competere in alcun modo a livello internazionale). Chi è mediocre è destinato ad essere spazzato via. Chi non si aggiorna è destinato a fallire. Chi non investe in innovazione e resta ancorato al passato ha i giorni contati. E forse è anche giusto che sia così. Purtroppo le imprese italiane non hanno la forza, soprattutto in questo momento, per investire sulla qualità. Alla fine mi chiedo: perché l’imprenditore non dovrebbe avere il diritto di scegliere chi assumere e chi licenziare? E’ una domanda retorica, non mi aspetto una risposta semplice. Tuttavia nei momenti di crisi il sistema evidenzia in modo inconfutabile i propri difetti. E qualche sacrificio andrà pur fatto per provare a migliore le cose, non trovate?

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