Dietro ai fallimenti. L’imprenditore sa quando la situazione non è più sanabile

Fallire significa non riuscire a raggiungere un obiettivo. Ogni imprenditore sa che il proprio progetto è una scommessa e che, nonostante l’impegno, il coraggio e le notti insonni può fallire. Amen. Da un fallimento bisogna trarre consiglio per il prossimo progetto.
In una realtà come quella italiana chiunque tenti un’impresa è degno di ammirazione, anche se fallisce. MA… C’è un “ma” grosso come una casa.
In Italia troppo spesso si fallisce da furbi, trascinando nella merda i fornitori in modo consapevole, addirittura doloso.
Esiste un momento preciso in cui un imprenditore sa che la situazione economica della propria azienda non è più sanabile. In quel momento l’imprenditore ha il dovere morale di cercare di mettere a posto le cose, soprattutto per dipendenti e fornitori. Invece la nostra legge tutela i “furbetti del tinello”, quelli che accumulano debiti e a un certo punto spariscono con il famoso “botto”. Tutte le imprese creditrici si attaccano al tram.
Non so perché, ma ogni volta che leggo discussioni e polemiche sui fallimenti eccellenti della nostra città mi viene da pensare ai fornitori.
Qualcuno di loro verrà trascinato nel baratro… altri useranno i propri risparmi per colmare la voragine lasciata dal cliente fallito. A me è capitato di doverlo fare. Ho dato fiducia ad aziende che mi stavano letteralmente truffando, accampando scuse e inventando favole per mesi, fino a sparire dalla faccia della Terra. I liquidatori e le banche hanno evitato la bancarotta fraudolenta per intascarsi i pochi soldi rimasti, come avviene quasi sempre.
Con i miei risparmi ho coperto i loro debiti per salvare la mia azienda e pagare i miei dipendenti, mentre questi signori aprivano una nuova attività con un prestanome, continuando a lavorare con il mio materiale. Con la complicità immorale della legge italiana.

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