La sconfitta elettorale di Kamala Harris e il ritorno di Donald Trump alla presidenza non sono eventi sorprendenti, ma il risultato di una presidenza – quella di Joe Biden – caratterizzata da un distacco crescente tra le élite politiche e le esigenze della popolazione e, per quanto ci riguarda, da una politica estera disastrosa. Come “guida” del blocco occidentale, l’amministrazione Biden ha dimostrato una totale incapacità di visione che ha contribuito a destabilizzare il mondo e ad alimentare un sentimento di sfiducia negli elettori.
La politica estera di Biden è stata segnata da fallimenti che hanno portato a un aumento delle tensioni globali. Dalla guerra in Ucraina, alle provocazioni alla Cina, fino all’escalation in Medio Oriente, ogni crisi è stata gestita in modo approssimativo, aggravando le dinamiche conflittuali invece di contenerle.
Prima di Joe Biden, l’America di Trump aveva avviato un ambizioso progetto diplomatico volto a promuovere un riavvicinamento tra Israele e i paesi arabi sunniti, con un’attenzione particolare all’Arabia Saudita. L’obiettivo era costruire una base di reciproca legittimazione e collaborazione per affrontare congiuntamente le questioni irrisolte nel conflitto israelo-palestinese, mentre si isolava l’Iran, identificato come il principale fattore di destabilizzazione nella regione. Questo impegno culminò nel 2020 con il significativo traguardo degli Accordi di Abramo, un’intesa storica che avrebbe dovuto essere il preludio a un accordo diretto tra Israele e Riad. Appena insediato, Biden ha abbandonato la linea di fermezza verso Teheran, incoraggiando un dialogo che ha rafforzato gli attori ostili come Hezbollah e Hamas, trasformando il Medio Oriente in una polveriera pronta a esplodere. L’attacco iraniano a Israele con droni e missili, mai così diretto in precedenza, è stato il simbolo di una regione destabilizzata dall’inversione di rotta americana.
Parallelamente, la gestione della guerra in Ucraina ha consolidato l’asse tra Mosca e le forze anti-occidentali. L’abbandono della linea diplomatica dagli Stati Uniti non ha portato a una risoluzione del conflitto, ma ha alimentato una destabilizzazione globale che si intreccia con le altre crisi, creando un contesto sempre più vicino a un’escalation generale.
La “terza guerra mondiale a pezzi”, evocata da papa Francesco, durante l’amministrazione Biden sembrava ogni giorno più vicina, con conflitti interconnessi che si alimentano reciprocamente.
Ma la politica estera interessa più noi che gli americani. Infatti un altro dei fattori chiave della sconfitta di Biden/Harris è stato il disallineamento tra le volontà espresse dalle élite progressiste e le reali priorità della maggioranza degli elettori.
Gli interessi promossi da queste élite, spesso provenienti da gruppi storicamente svantaggiati, si sono rivelati fuori sincrono con le esigenze di gran parte della popolazione. Questo scollamento ha contribuito a generare un sentimento di alienazione tra i cittadini, erodendo il consenso verso l’amministrazione democratica.
San Francisco è il tragico simbolo del fallimento totale di questa politica disallineata dalla realtà, una città realmente alla deriva, dove migliaia di persone si trovano a vivere per strada, in situazioni medico-sanitarie insostenibili, dove la depenalizzazione dei reati legati alla droga è diventata grande tolleranza per spaccio e consumo indiscriminato, con effetti sotto gli occhi di tutti.
La vittoria schiacciante di Trump non è solo un voto contro Biden, ma un’espressione di sfiducia verso una politica percepita come distante e inefficace. Gli elettori hanno scelto un ritorno a un approccio più pragmatico e diretto, in contrapposizione all’incertezza e all’instabilità degli ultimi anni.
Che il “wokismo” non faccia presa nel mondo reale, ma sia confinato tra i pruriti della sinistra radical chic, è ormai così ovvio che persino Alexandria Ocasio-Cortez – politica navigata e vincente che rappresenta una sinistra forte, a volte un po’ estrema, ma orientata al futuro – ha rimosso dalle bio sui suoi canali social “i pronomi”. Dice di averlo fatto “per questioni di spazio”, ma la verità è che forse ha compreso come questo codice comunicativo sia impopolare e ritenuto elitario anche dai suoi stessi elettori.