La storia segreta di Sixteen Tons: dai minatori al mio cuore, con un twist di Ray Charles

Sixteen Tons è una delle mie canzoni preferite, e la versione dei Platters del 1957 occupa un posto speciale nel mio cuore. Si dice che il brano abbia origini nei canti dei minatori, con parole tramandate e arricchite nel tempo. Il ritornello racconta una realtà dura e disarmante:
“Ti carichi sulle spalle 16 tonnellate e cosa ottieni? Sei solo un giorno più vecchio e ancora più indebitato. San Pietro, non chiamarmi perché non posso venire: ho dato in pegno la mia anima allo spaccio aziendale.”

Questi versi, crudi e poetici, evocano la vita dei minatori americani agli inizi del Novecento, un’esistenza segnata da fatica e oppressione economica. Molti lavoratori venivano pagati non in denaro ma in buoni da spendere nello spaccio aziendale della miniera stessa, il famigerato “company store”. Questo sistema li intrappolava in un circolo vizioso di debiti con il proprio datore di lavoro.

La canzone si apre con una descrizione memorabile del minatore:
“Alcune persone dicono che un uomo sia fatto di fango, che un pover’uomo sia fatto di muscoli e sangue, muscoli e sangue e pelle e ossa, una mente debole e una schiena forte.”

La prima iconica registrazione fu realizzata nel 1946 dal cantante statunitense Merle Travis in stile country e venne inclusa l’anno successivo nel suo album Folk Songs of the Hills. Da allora, Sixteen Tons ha continuato a risuonare nelle interpretazioni di artisti leggendari: la versione di Tennessee Ernie Ford del 1955 divenne un classico; Tom Jones la reimmaginò in chiave rock nel 1967; e Johnny Cash ne offrì una potente reinterpretazione nel suo album Johnny Cash Is Coming to Town del 1987.

Quando la suono con la chitarra, mi piace fare un medley con un’altra delle mie canzoni preferite: “Hit the Road Jack”, un capolavoro di Ray Charles del 1961 scritto da Percy Mayfield. Anche questo brano ha avuto una vita straordinaria, reinterpretato in decine di cover: dai The Animals nel 1966 a John Mellencamp nel 1976, passando per Adriano Celentano nel 1981, fino ai Public Enemy nel 1992. È incredibile come entrambi questi pezzi, così diversi ma altrettanto incisivi, riescano a dialogare perfettamente insieme.

Categorie