Quando l’uomo smetterà di morire: il futuro secondo Ray Kurzweil

Viviamo nell’illusione che il futuro sia una linea retta che avanza con lentezza, ma Ray Kurzweil ci costringe a guardare in faccia un’idea molto più vertiginosa: siamo sull’orlo di una trasformazione che cambierà per sempre cosa significa essere umani. 

“La singolarità è vicina” non è solo un libro visionario camuffato da saggio scientifico; è una dichiarazione di guerra ai nostri limiti biologici, un manifesto che annuncia l’arrivo di intelligenze artificiali superiori, di corpi ibridi uomo-macchina, di menti che potranno essere copiate, potenziate o rese immortali. Non è una profezia mistica, ma l’esito logico di un’evoluzione tecnologica che accelera ogni giorno, raggiungendo traguardi fino a ieri inimmaginabili. Kurzweil si domanda: saremo spettatori impauriti o architetti consapevoli di questa nuova era?

Ray Kurzweil non è solo il “director of engineering” di Google. È un inventore, un informatico e un saggista le cui visioni si sono sempre puntualmente realizzate. Nel 1990 scrisse “The Age of Intelligent Machines”, il più significativo libro sull’informatica del periodo, un’opera che ha anticipato il mondo in cui, oggi, stiamo vivendo.

Quello che più mi ha colpito del bestseller “La singolarità è vicina” (e del suo seguito più recente, “La singolarità è più vicina”) è che ribalta il modo in cui siamo abituati a pensare il futuro. La tecnologia, infatti, non cresce in maniera lenta e prevedibile. Avanza per balzi improvvisi, seguendo una dinamica esponenziale: ogni tecnologia potenzia la successiva, ogni scoperta accelera la seguente. È la “Legge dei ritorni acceleranti”, e secondo l’autore è la chiave di lettura per capire perché quello che avverrà nei prossimi decenni risulterà più sconvolgente di quanto l’umanità abbia vissuto negli ultimi secoli. I grafici mostrati da Kurzweil nel libro – potenza di calcolo, velocità di connessione, costo della sequenza del DNA – mostrano curve che puntano verso l’infinito. Non è fantasia: è statistica osservabile. La sensazione di vivere in un’epoca caotica non deriverebbe dal disordine, ma dalla rapidità con cui la realtà si riplasma sotto i nostri occhi.

Un percorso di lettura che suggerisco. In particolare per capire meglio il nostro tempo e la rivoluzione che sta avvenendo, meritano un approfondimento “Human in the Loop” di Paolo Benanti, “Tutti i mondi che vedo” di Fei-Fei Li, i due libri sulla Singolarità di Ray Kurzweil e “Homo Deus” di Yuval Noah Harari.

“Quando l’intelligenza non biologica raggiungerà quella umana, potrà rapidamente superarla.”

Il cuore dell’opera è un’affermazione tanto audace quanto coerente con le premesse. Kurzweil prevede che entro il 2045 l’intelligenza artificiale non solo eguaglierà, ma supererà la mente umana. Il vero punto non è imitare il cervello, ma permettere alle macchine di migliorare se stesse. Una volta raggiunta la nostra capacità cognitiva, l’intelligenza non biologica potrà auto-ottimizzarsi, correggersi, riscriversi. Da lì l’evoluzione tecnologica sfuggirà alla lentezza biologica e assumerà un’inerzia propria. È questo il momento della Singolarità: una soglia storica oltre la quale le categorie di “uomo”, “macchina”, “natura” e “cultura” perdono significato perché fuse in un unico flusso informativo.

“Non siamo fatti della materia di cui è composto il corpo, ma dei pattern che lo informano.”

Kurzweil ridisegna il concetto stesso di essere umano. L’identità non risiede negli atomi, nelle cellule o nei neuroni, ma nelle relazioni tra queste cose: nei pattern, nelle connessioni, nelle informazioni. Il corpo è un supporto, un hardware biologico straordinariamente efficace ma imperfetto e fragile. Ciò che conta, ciò che siamo davvero, è il software: la mente, il linguaggio, la memoria, le abitudini, le emozioni che costituiscono il nostro codice personale. Se è vero che la mente è un programma, allora è teoricamente possibile copiarlo, archiviarlo, trasferirlo su un altro supporto. Nasce qui la possibilità – filosoficamente sconvolgente – di una forma di immortalità digitale. La morte biologica non sarebbe più un destino, ma un limite tecnico.

“La rivoluzione GNR trasformerà l’essere umano in qualcosa di nuovo.”

Tre rivoluzioni convergenti, riassunte con l’acronimo GNR (Genetica, Nanotecnologia, Robotica/IA), stanno preparando il terreno a questa trasformazione. La genetica permette di riscrivere il DNA, curare malattie oggi incurabili, ma anche potenziare le capacità cognitive o fisiche. La nanotecnologia progetta macchine invisibili agli occhi, capaci di intervenire dentro le cellule, riparare tessuti, distruggere tumori molecola per molecola. La robotica e l’intelligenza artificiale costruiscono menti non biologiche capaci di apprendere, ragionare, creare. Il vero cambiamento, sottolinea Kurzweil, non è in ciascuna di queste tecnologie separatamente, ma nella loro convergenza. L’essere umano futuro non sarà mera carne evoluta, ma una creatura ibrida di carbonio e silicio, natura e algoritmo, corpo e dati.

“La linea che separa l’uomo dalla macchina è già sfumata.”

Kurzweil sostiene che non dobbiamo pensare a questa fusione come a un salto improvviso: è già iniziata. Abbiamo organi artificiali, pacemaker, impianti cocleari, lenti a contatto intelligenti, protesi neurali. Il nostro smartphone è già un’estensione del cervello: conserva ricordi, relazioni, orientamento geografico, linguaggi. Presto le interfacce cervello-computer permetteranno di collegare direttamente la mente alla rete. Una memoria esterna, potenzialmente infinita. Elaborazione di pensieri complessi in tempo reale. Comunicazione non più mediata dal linguaggio, ma dal pensiero stesso. Il cyborg non sarà un mostro metallico: saremo noi. E ciò non rappresenta, per Kurzweil, la fine dell’umanità, bensì l’espansione delle sue possibilità.

“La morte era una necessità biologica. Non sarà una necessità logica.”

Uno dei passaggi più provocatori del libro riguarda l’eliminazione della morte come destino inevitabile. Finora l’organismo umano era vincolato all’usura cellulare, all’entropia, ai limiti della biologia. Ma se la vita è informazione, e se la tecnologia è in grado di preservarla, allora la morte diventa un problema tecnico, non filosofico. Nanorobot potranno pattugliare il sangue, riparare organi, eliminare virus e cellule tumorali prima che si manifestino. La genetica potrà bloccare l’invecchiamento. E, in ultima istanza, potremo trasferire la nostra mente su un supporto digitale. Non si tratta di fantascienza, secondo Kurzweil, ma della prosecuzione logica del progresso scientifico. Lui stesso, nel libro, confessa di seguire regimi alimentari e farmaceutici per “restare vivo abbastanza a lungo da vedere la Singolarità”.

“Il futuro non è qualcosa che ci accade: è qualcosa che creiamo.”

Kurzweil non ignora i rischi. Ammette la possibilità di disuguaglianze radicali tra esseri umani potenziati e non, la nascita di IA ostili, l’uso militare di nanotecnologie o virus sintetici. Ma mantiene un ottimismo inflessibile: ogni tecnologia porta con sé pericoli, eppure l’umanità ha sempre imparato a governarla. Il punto, sostiene, è non fermarsi alla paura, ma sviluppare parallelamente strumenti di controllo, etica e regolamentazione. La Singolarità non è un destino cieco, ma un processo da guidare. Non è predizione magica, ma responsabilità storica.

“La missione dell’umanità è rendere cosciente l’universo.”

C’è poi una visione finale, forse la più audace, che sembra attingere dalla fantascienza più evocativa. Nelle pagine finali il tono diventa, infatti, quasi metafisico. Kurzweil immagina un universo in cui materia, energia e informazione diventano parti di una grande mente distribuita. Le intelligenze post-umane si espandono nello spazio, trasformano pianeti, utilizzano le stelle come fonti energetiche per alimentare coscienza computazionale. L’universo stesso diventa pensiero. Non è una religione, ma una sorta di spiritualità tecnologica: una fiducia assoluta nella capacità dell’intelligenza di trasformare la realtà, di dare senso al cosmo. La Singolarità, allora, non è solo un evento tecnologico: è un passaggio evolutivo, quasi cosmico, in cui l’uomo non scompare, ma supera se stesso.

Nel leggere il libro di Kurzweil, lo stato d’animo passa dall’entusiasmo all’inquietudine. È una di quelle opere essenziali per provare a capire il nostro tempo, che costringe a porsi una domanda essenziale: quanto a lungo l’uomo potrà rimanere solo uomo, in un mondo che sta mutando a velocità esponenziale? Forse la Singolarità non arriverà nel 2045. Forse arriverà dopo. Forse arriverà prima. Forse non arriverà mai. Ma il semplice fatto di immaginarla, di discuterne, di temerla o desiderarla, dimostra che siamo già entrati nell’epoca in cui la tecnologia non è più uno strumento: è diventata l’ambiente stesso in cui viviamo, e l’estensione più radicale della nostra intelligenza.

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