Non servono hacker né guerre: basterebbe che un’azienda americana cambiasse i termini di servizio o che un data center in Virginia si fermasse, e metà dell’Europa si ritroverebbe paralizzata. Niente email, niente cloud, niente intelligenza artificiale “made in USA” a supporto delle nostre istituzioni. È questo il cuore del problema: l’Europa non controlla più la propria infrastruttura digitale, e dunque una parte fondamentale della sua sovranità.
Mentre Stati Uniti e Cina combattono la guerra del silicio e dell’intelligenza artificiale, il Vecchio Continente – come ho già scritto nei giorni scorsi – si è limitato a sfornare regole per contenere i giganti del web, dimenticando di costruire i propri. Oggi, ogni clic, ogni messaggio, ogni algoritmo che decide cosa vediamo e pensiamo dipende da tecnologie sviluppate altrove, in America, in Cina e in Russia. Bisogna aprire gli occhi sul fatto che la vera battaglia geopolitica del XXI secolo non si combatte con carri armati, ma con server, dati e codice.
Ecco il punto: l’Europa vive su tecnologie che non controlla.
La sovranità digitale non è una questione da tecnici. È una nuova frontiera della politica.
Come l’energia nel Novecento e la moneta nel dopoguerra, il digitale è oggi la condizione stessa della libertà e della sicurezza.
Chi controlla i dati controlla i flussi finanziari, le informazioni e le infrastrutture.
Chi controlla le piattaforme controlla la narrazione pubblica.
Chi controlla l’intelligenza artificiale influenzerà le decisioni economiche, le relazioni sociali e i processi democratici.
L’Europa non può permettersi di delegare tutto questo a potenze esterne.
Ritrovare indipendenza digitale significa difendere la propria democrazia, garantire pluralismo informativo e rafforzare l’autonomia economica.
L’Europa è il più grande mercato regolato del pianeta, ma non possiede quasi nulla della catena tecnologica che lo sostiene. I dati, i sistemi cloud, le intelligenze artificiali, le piattaforme di ricerca, i social network, i sistemi operativi dei nostri smartphone: quasi tutto proviene da altri continenti.
Questo non è solo un problema di economia, ma di sovranità politica.
Significa che l’Europa dipende da regole, codici e interessi scritti altrove. Significa che una decisione presa in California o a Pechino può influenzare la nostra sicurezza, la nostra economia e perfino la nostra opinione pubblica.
In questo scenario, l’Europa rischia di diventare un consumatore tecnologico, non un produttore. E ogni dipendenza tecnologica si traduce in una forma di debolezza strategica.
L’Europa ha eccelso (e a mio avviso ecceduto) nel creare leggi per proteggere cittadini e mercato, ma ha fallito nel tradurle in un’industria digitale europea.
I fondi pubblici stanziati in questi anni — miliardi di euro — non hanno generato campioni tecnologici capaci di competere. La quota europea nel mercato del cloud è ormai vicina alla soglia di irrilevanza.
La soluzione non è più un’altra direttiva o un’altra task force, ma una politica industriale per il digitale: un piano strategico che unisca infrastrutture fisiche, software e piattaforme di intermediazione sotto un’unica visione. È ciò che progetta, per esempio, EuroStack, un’iniziativa che mira a costruire una filiera tecnologica interamente europea, aperta, interoperabile e governata dai nostri valori.
L’idea di EuroStack è semplice, ma rivoluzionaria: creare un ecosistema tecnologico europeo completo, composto da tre livelli integrati.
a) Il livello fisico: Chip, data center, reti 5G e 6G, cavi sottomarini, satelliti, calcolo ad alte prestazioni, ricerca nel quantum computing. Senza questa infrastruttura, nessuna autonomia è possibile. L’Europa deve tornare a produrre tecnologia, energia e connettività in casa propria.
b) Il livello logico: Software, identità digitale sicura, cloud interoperabile, modelli di intelligenza artificiale formati sui dati e sulle lingue europee, sistemi operativi e strumenti di produttività non dipendenti da monopoli extra-UE. Questo significa controllare i codici, non solo i contratti.
c) Il livello dell’intermediazione: Il più trascurato eppure decisivo: piattaforme di scambio, ricerca, social network, pubblicità e pagamenti. Oggi l’Europa non possiede neppure un grande motore di ricerca o una rete sociale d’impatto globale. Servono reti aperte e federate, dove le regole non siano imposte da una singola “corporation” come nei romanzi cyberpunk, ma condivise tra soggetti europei pubblici e privati.
In concreto cosa si può fare? Servono scelte politiche coordinate e coraggiose; non protezionismo, ma sicurezza e lungimiranza.
Ecco le priorità:
- Procurement europeo “intelligente”
Le pubbliche amministrazioni devono privilegiare soluzioni europee interoperabili. Non per protezionismo, ma per garantire sicurezza e controllo. Ogni contratto con fornitori extra-UE deve prevedere una clausola di uscita e un piano di sostituzione. - Federazione degli asset esistenti
In Europa esistono data center, software, startup e competenze di altissimo livello. Vanno connessi in un sistema federato, con standard comuni, regole di interoperabilità e governance condivisa. - Standard e interoperabilità obbligatori
Ogni appalto pubblico deve premiare soluzioni aperte, documentate e interoperabili. L’Europa deve guidare la definizione di protocolli globali e smettere di subirli. - Finanza sovrana e capitale paziente
Servono fondi pubblici e privati di lungo periodo, in grado di sostenere progetti infrastrutturali e piattaforme strategiche europee.
Il capitale di rischio da solo non basta: serve una visione da politica industriale. - Competenze e certificazioni europee
Oggi le certificazioni informatiche globali sono quasi tutte rilasciate da aziende americane. L’Europa deve istituire un proprio sistema di certificazione, riconosciuto e valorizzato nei bandi pubblici. - Obblighi di trasparenza e tracciabilità dei dati
Ogni servizio digitale utilizzato da istituzioni o imprese europee deve garantire che i dati restino in Europa, sotto giurisdizione europea.
Possono cambiare le alleanze, le economie e le tecnologie, ma un principio resta:
senza indipendenza digitale, non c’è libertà europea.
