Twitter blocca Sforza Fogliani. La censura di un’opinione espressa in punta di diritto è davvero quello che vogliamo?

Mi è capitato più volte, anche in tempi recenti, di dover intervenire professionalmente affinché Twitter controllasse e sospendesse profili falsi che, dopo avere clonato le identità di personalità di spicco a livello nazionale, mettevano in atto vere e proprie truffe informatiche finalizzare al furto d’identità e alla frode. In casi come questi occorre agire tempestivamente e produrre, solitamente in meno di un’ora, le prove dei tentativi di frode, i documenti che attestino l’identità delle parti lese, le deleghe del caso e le denunce alla Polizia Postale o alle autorità competenti. Nonostante ciò, a volte occorrono giorni prima che Twitter prenda in esame la questione e intervenga sospendendo gli account interessati in queste attività fraudolente. Nell’attesa, naturalmente, vengono perpetrati veri e propri crimini senza che la piattaforma ne debba rispondere.

Data la premessa, mi ha lasciato quantomeno sorpreso constatare con quanta tranquillità, invece, sia stato sospeso l’account dell’avv. Corrado Sfroza Fogliani per avere pubblicato un tweet in cui esprimeva un’opinione sul DDL Zan rimandando ad una sua lettera pubblicata dal quotidiano L’Avvenire.

Anticipo che sono sostanzialmente favorevole al disegno di legge Zan, ma contestualmente sono intimorito da questa tendenza alla promozione di un “pensiero unico” che non ammette contraddittorio, soprattutto quando è un software a prendere le decisioni sulla base della semplice segnalazione di uno o più utenti. Parlando di “pensiero unico” e alludendo ad una sorta di dittatura culturale faccio ricorso all’iperbole per stimolare una riflessione su come la narrativa del “politicamente corretto” stia cambiando il senso della comunicazione e, di conseguenza, dell’interazione fra le persone. Non ho rilevato nulla di offensivo nella lettera pubblicata da L’Avvenire, a meno che non si ritenga offensivo avere un’opinione differente rispetto a quella in questo caso dominante.

Ogni giorno ci confrontiamo con nuovi paradigmi etici e giuridici che sono frutto dell’evoluzione del pensiero e della società. La maggioranza delle persone desidera un mondo inclusivo, aperto, rispettoso, in grado di abbattere ogni forma di discriminazione, un mondo in cui tutti possano ambire ad essere pienamente felici. Se il ddl Zan può aiutare la comunità LGBTQ+ ad essere più felice, io non posso che essere d’accordo, ma non si può combattere una discriminazione con un’altra discriminazione. La censura di Twitter è essa stessa fortemente discriminatoria nei confronti di chi non condivide l’assunto ideologico alla base del disegno di legge.

Twitter può sospendere un account quando il regolamento viene violato dall’utente. L’unica norma che credo possa essere pertinente al caso è quella che punisce la “condotta che incita all’odio”. Il regolamento prevede che non possa essere “promossa” la violenza contro altre persone, la minaccia o ogni sorta di molestia “sulla base di razza, etnia, origine nazionale, ceto, orientamento sessuale, sesso, identità sessuale, religione, età, disabilità o grave malattia”. In pratica posso ragionevolmente presumere che l’algoritmo abbia ravvisato nelle parole dell’avv. Sforza Fogliani una condotta che inciti all’odio sulla base dell’orientamento sessuale. Io non ho modo di sapere quale tweet abbia provocato la sospensione dell’account, ma se è vero quanto dichiarato dal diretto interessato ai media (e cercando conferma nella lettura dell’intervento integrale su l’Avvenire) non mi pare vi siano i presupposti.

L’episodio accende un campanello d’allarme e ci mostra il pericolo di un’ideologia che non tollera divergenze, non concede spazio al dubbio, non sopporta l’eterodossia e punisce i dissidenti. Indipendentemente dal fatto di essere d’accordo o meno con questo scritto dall’avv. Sforza Fogliani, la censura di un’opinione espressa in punta di diritto è davvero quello che vogliamo? Domani dovrò trattenermi, per esempio, dall’esprimere le mie perplessità sull’uso degli asterischi che rende illeggibile (e impronunciabile) qualsiasi documento progettato per decostruire il linguaggio che qualcuno considera sessista? Nel caso di Twitter la risposta a questa domanda è affidata ad un algoritmo che applica per forza di cose una giustizia sommaria. Nel recinto dei cattivi, insieme ai truffatori e ai criminali di cui ho raccontato nella premessa, finisce un uomo che ha espresso la sua libera ed argomentata opinione, nel pieno rispetto delle norme vigenti nel nostro Paese. In tutti gli altri casi spetta a noi fare le opportune valutazioni, posto che continui ad esserci concesso.

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