Vedere è un atto d’amore: l’intelligenza artificiale secondo Fei-Fei Li

E se “insegnare alle macchine a vedere” non significasse solo addestrarle a riconoscere un oggetto, ma trasmettere loro un frammento del nostro modo di guardare il mondo, fatto di memoria, dolore, stupore, compassione?

Questo è il punto da cui parte Fei-Fei Li in “Tutti i mondi che vedo”, una riflessione potente su come ogni innovazione tecnologica, se vuole essere davvero rivoluzionaria, deve restare profondamente umana. Prima di ogni algoritmo, prima di ogni riga di codice, c’è qualcosa che deve accadere, un gesto semplice e imprescindibile: scegliere cosa merita di essere visto. Ed è in quello spazio, fragile e potentissimo, che scienza e vita si incontrano.

Prima di parlare di questo libro straordinario, vorrei spiegarvi chi è Fei-Fei Li, la donna che ha insegnato alle macchine a vedere. È scontato dire che Fei-Fei Li è una delle figure più importanti nel panorama mondiale dell’intelligenza artificiale. Nata a Pechino nel 1976, emigrata negli Stati Uniti adolescente, ha attraversato povertà, lavori umili e incertezza, fino a diventare professoressa di Computer Science a Stanford, direttrice dello Stanford Human-Centered AI Institute e direttrice del consiglio di amministrazione di Twitter. Il suo contributo decisivo alla storia dell’IA ha un nome: ImageNet, il database di immagini che ha permesso alle macchine di riconoscere oggetti e volti con una precisione mai vista. Senza di lei, l’intelligenza artificiale moderna – quella che alimenta auto autonome, diagnosi mediche, robot umanoidi, social network e motori di ricerca – non sarebbe ciò che è oggi.

Eppure, Fei-Fei Li non è soltanto una scienziata. È una narratrice di mondi, una donna che ha trasformato la propria biografia in lente etica attraverso cui osservare la tecnologia. «L’intelligenza artificiale è troppo importante per lasciarla solo agli ingegneri», scrive. È una chiamata a ripensare il rapporto tra progresso e responsabilità umana.

Il libro è la sua storia personale, ma anche il racconto di una visione. Cresciuta tra appartamenti affollati e lavanderie a gettoni del New Jersey, Fei-Fei Li scopre presto la forza dello sguardo. Da bambina osserva tutto: oggetti, gesti, sfumature del mondo che cambia. Da adulta si chiede: come fa il nostro cervello a trasformare fotoni in significato? Da questa domanda nasce il sogno di un database capace di mostrare alle macchine “tutti i mondi” che noi vediamo. Non un elenco di pixel, ma una collezione della realtà.

“Per insegnare a una macchina a vedere, bisogna prima insegnarle ad avere uno sguardo.»

Dopo averci accompagnati nel suo viaggio umano, Fei-Fei Li spalanca le porte del progetto che ha cambiato per sempre la storia dell’intelligenza artificiale: ImageNet. Racconta di come, mentre molti la consideravano un’idea impossibile, lei ha deciso di costruire un archivio capace di mostrare alle macchine “tutto ciò che noi vediamo”. Milioni di immagini raccolte e descritte a mano, una per una, da persone sparse in ogni angolo del pianeta. Un’opera titanica, quasi visionaria, che molti scienziati giudicavano inutile o folle. Eppure, nel 2012, accade l’imprevisto: una rete neurale addestrata su ImageNet supera ogni limite conosciuto nel riconoscimento delle immagini. In quell’istante, l’intelligenza artificiale fa un salto in avanti che nessuno potrà più fermare. È l’inizio di una nuova era. Ed è lo sguardo ostinato di Fei-Fei Li ad averla resa possibile.

«La tecnologia più potente è quella che nasce dall’empatia.»

Nel libro emergono numerosi momenti intimi in cui l’autrice si lascia vedere senza filtri: il senso di esclusione vissuto da immigrata, il peso economico sulle spalle della famiglia, gli ostacoli e i pregiudizi di un mondo accademico ancora dominato dagli uomini, amori e amicizie, il ruolo decisivo di un professore che ha riconosciuto il suo talento prima ancora che lei trovasse il coraggio di farlo. Non c’è enfasi né vittimismo, ma una sincerità rara. È commovente assistere alla formazione di una mente fuori dall’ordinario, raccontata con pudore e verità. E ciò che colpisce di più è scoprire come, per Fei-Fei Li, la fragilità non sia stata una ferita da nascondere, ma la forza stessa da cui è nata la sua scienza.

«Una tecnologia che non vede l’essere umano è una tecnologia cieca.»

Questa è la vera rivoluzione descritta il “Tutti i mondi che vedo”. Fei-Fei Li sostiene che l’IA non deve sostituire l’uomo, ma amplificarne la capacità di capire e prendersi cura. Racconta progetti in ambito medico, dove gli algoritmi non diagnosticano soltanto, ma aiutano i medici a “vedere meglio” ciò che potrebbe sfuggire. E allo stesso tempo denuncia i rischi: bias, sorveglianza, disumanizzazione.

La figura dei genitori attraversa il libro di Fei-Fei Li come un filo nascosto, discreto ma resistente, che tiene insieme povertà, dignità e sogno. La madre, fragile e instancabile, incarna il peso del sacrificio quotidiano: la malattia, il lavoro in lavanderia, la dignità con cui affronta la povertà e il distacco dalle proprie radici. È lei che, senza grandi parole, insegna alla figlia l’umiltà, la cura, la resistenza gentile.

Il padre, invece, appare a tratti distante, perso nei suoi silenzi e nelle frustrazioni di un uomo che ha visto franare le certezze della propria vita in Cina. All’inizio del libro emerge la sua tenerezza nei rapporti con l’autrice bambina, la sua passione per l’osservazione della natura. Nel finale, questo papà strano e poco pragmatico diventa essenziale. Quando Fei-Fei, ormai scienziata di fama mondiale, torna a guardarlo, capisce che l’origine del suo sguardo sul mondo è lì: in quell’uomo che, pur ferito, le ha insegnato ad osservare con profondità, a cogliere la bellezza in tutte le cose, anche nella fatica. Non è la figura guida, è la figura radice. È colui che, senza saperlo, le offre l’ultima chiave di lettura del suo viaggio: «nulla di ciò che abbiamo costruito esiste, se non ha memoria di ciò che abbiamo sopportato.»

E c’è un dettaglio che rende tutto ancora più simbolico: il nome Fei-Fei, scelto dai genitori, in cinese richiama l’idea del “volo”, del “sollevarsi”. È come un augurio: che quella bambina potesse spiccare il volo oltre i confini visibili. Il libro dimostra che quel desiderio si è avverato — ma senza mai dimenticare da dove è partito.

Ecco perché nelle pagine finali, il libro diventa una dichiarazione di responsabilità collettiva. Il futuro dell’IA non è scritto. Dipenderà da chi la costruisce, da quali valori guideranno il codice, da quanto saremo capaci di tenere insieme progresso e compassione.

E collegandoci a “Human in the Loop” di Paolo Benanti, anche Fei-Fei Li chiude con un’affermazione importante. «L’intelligenza artificiale ha bisogno di dati, calcolo e potenza. Ma soprattutto ha bisogno di un’anima.»

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