2 giugno. Il significato della festa, dal 1946 ad oggi

Mentre a Roma 3.500 militari sfilano davanti al Presidente della Repubblica, al premier, a ministri e autorità, mi piacerebbe cercare di capire insieme a voi il senso di questa ricorrenza. Il 2 giugno 1946, con poco più di 12.700.000 voti i cittadini italiani decisero che l’Italia doveva diventare una Repubblica. Quella scelta ha avuto un grande peso nella nostra storia; oggi il nostro popolo celebra il sacrificio di chi – con il proprio sangue e con il proprio sudore – ci ha consegnato la nostra patria e la nostra bandiera. L’Italia costruita sul sacrificio, sul lavoro e sulla forza di un popolo è la stessa nazione a cui oggi dedichiamo il nostro sudore e il nostro sacrificio. In un altro modo, meno brutale ma ugualmente carico di difficoltà.
Oggi l’Italia, la nostra patria, è minacciata da nemici diversi rispetto al 1946. La minacciano ogni giorno i problemi economici, gli scandali di una politica in cui nessuno più crede, i sindacati che non sono nemmeno l’ombra di ciò che erano, i processi interminabili e una giustizia che non riesce a proteggere le piccole aziende, le complessità burocratiche, le opere incompiute, la sanità che non funziona come dovrebbe, la scuola che è rimasta al medioevo, e potrei andare avanti per ore.

Oggi l’Italia è minacciata dal populismo di chi dice “no” a tutto, di chi punta il dito sulle colpe degli altri per mascherare le proprie, dei vari Beppe Grillo che – non solo in politica – per stare a galla sono disposti a tutto. Anche a far ripiombare il Paese in un’era di violenza.

La parata del 2 giugno vuole unirci, farci sentire un popolo. Oggi è la festa di quanti non accettano l’immagine dell’Italia “fanalino di cosa” di qualsiasi classifica. Oggi festeggiano tutti quelli che, come me, sono al lavoro. Qui, non all’estero. Nonostante le tasse soffocanti e la burocrazia infernale. Qui per dare una risposta a chi crede che il nostro Paese sia destinato solo al fallimento.

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