Il 2 giugno gli italiani furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia

Il 2 giugno è la festa della Repubblica Italiana. Prima della nascita della Repubblica, la festa nazionale italiana era la prima domenica di giugno (anniversario della concessione dello Statuto Albertino); in seguito alla fondazione venne scelto il 2 giugno come festa nazionale, ma per decenni la tradizione fu abbandonata, fino al 2000 quando il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e il governo Amato la reintrodussero.

Il 2 giugno 1946 in Italia si svolse il primo referendum istituzionale e gli italiani (per la prima volta anche le donne) furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia. Fu un giorno molto importante, che avrebbe cambiato il volto del nostro Paese per sempre.

A distanza di oltre 60 anni, non si spengono le critiche sull’esito di quel referendum. Cercando informazioni su Wikipedia ho trovato questa breve annotazione che può far riflettere.

Alla lettura dei primi dati, che indicavano un forte vantaggio per la monarchia soprattutto nel meridione, l’allora guardasigilli Palmiro Togliatti inviò migliaia di funzionari del proprio ministero a prelevare i verbali elettorali direttamente all’interno dei seggi, ordinando la contestuale sospensione delle operazioni di spoglio. I verbali furono portati a Roma e qui sottoposti a pesanti manipolazioni. Qualche ora dopo, Togliatti scrisse al presidente della Corte di Cassazione Giuseppe Pagano invitandolo a dare semplice lettura dei verbali complessivi delle 31 circoscrizioni elettorali, senza effettuare alcuna proclamazione del risultato. Pagano ribatté che la procedura era illegale e per tutta risposta fu minacciato di morte.

Lo storico Giulio Vignoli afferma inoltre che Togliatti intervenne per ritardare il rientro in Italia dei reduci dai campi di prigionia russi, in quanto ne temeva le testimonianze ai fini del voto.
Non poterono votare neppure coloro che prima della chiusura delle liste elettorali (aprile 1945) si trovavano ancora fuori del territorio nazionale nei campi di prigionia o di internamento all’estero, o comunque non sul territorio nazionale. Di queste centinaia di migliaia di persone non furono ammesse al voto neppure quelle rientrate tra la data di chiusura delle liste e le votazioni. Furono inoltre escluse dal voto: la provincia di Bolzano con Bolzano, la Venezia Giulia con Gorizia, Trieste, Pola e Fiume, la città di Zara.

Fu un colpo di stato? E’ lecito pensarlo, in ogni caso dopo 85 anni di regno, l’Italia divenne una Repubblica e il suo ex sovrano Umberto II, prima di lasciare il Paese, dichiarò: “Questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza. Proclamo pertanto lo scioglimento del giuramento di fedeltà al Re, non a quello verso verso la Patria, di coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove”.

Oggi, nel 2009, alla vigilia del 2 giugno, mi fa un certo effetto osservare la corsa del principe Emanuele Filiberto di Savoia, candidato alle Elezioni Europee per l’Udc nella circoscrizione Nord-Ovest.

L’immagine del principe che corre per le elezioni europee sembra proprio spegnere ogni polemica sul presunto colpo di stato, e chiudere una volta per tutte il discorso. Anche alla luce del fatto che Emanuele Filiberto di Savoia sembra essere il candidato più preparato di tutti sull’Europa e sul suo Parlamento, a giudicare dall’esito del sondaggio promosso dal Secolo XIX.

Il più sicuro, che ha snocciolato una risposta dietro l’altra (quasi) senza esitazione e senza sbagliare un colpo, è stato Emanuele Filiberto di Savoia, candidato per l’Udc nella circoscrizione Nord-Ovest (che comprende anche la Liguria) alle prossime elezioni europee del 6 e 7 giugno.
Emanuele Filiberto è uno dei dieci candidati che Il Secolo XIX ha scelto perché rispondessero a dieci domande tratte da un questionario ufficiale del Parlamento europeo: volevamo verificare sul campo, e senza preavviso, quale sia la preparazione “comunitaria” dei candidati in corsa.
Il voto più basso, un secco 2, è andato a Bruno Ravera, il veterano leghista che ha confessato di non sapere quasi nulla di politica comunitaria, ma di avere «idee da esportare in Europa». Fra Ravera ed Emanuele Filiberto, molte incertezze, alcuni silenzi imbarazzanti, confusioni imperdonabili fra l’identità del presidente della Bce, quello del Parlamento europeo e quello della Commissione europea.
Poi ci sono stati candidati come Ignazio La Russa, ministro della Difesa, che ha rifiutato di sottoporsi al test, o come Licia Ronzulli, giovane promessa del Pdl, che, dopo essere “inciampata” nelle prime domande, ha chiesto una prova d’appello in un’occasione più consona.

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