Avevo 15 anni nel 1989, anno in cui l’Italia impazzì per l’album “Oro, Incenso & Birra” di Zucchero. Quell’estate fu tutta un mare impetuoso al tramonto, come può esserla per un ragazzo di 15 anni, perennemente innamorato, fu un’overdose d’amore di cui ancora ricordo ogni odore, ogni respiro. Tuttavia per me quell’album di Zucchero è un’altra canzone, un brano che mi ha accartocciato l’anima allora e che ancora resta il mio preferito di tutta la produzione del bluesman di Roncocesi.
La leggenda narra di un giovane musicista che camminando per le strade di Copenaghen, in riva al mare, notò una ragazza che piangeva su una panchina. Lo scenario danese senza colori, l’infinita tristezza di quella scena e quelle nuvole che riempivano il cielo, ispirarono il giovane Adelmo che corse a scrivere “Iruben Me”. Che poi cosa diavolo significhi “Iruben Me” resta un mistero (ricordo che nel 1989 avevo cercato il verbo “to iruben” su tutti i dizionari, invano), anche se la stessa leggenda vuole che in una non meglio precisata lingua boreale significhi “ritorna da me”… e io a questa storia ho sempre un po’ creduto. Perché sarebbe la chiave che da il giusto senso ad ogni parola della canzone, al suo crescendo musicale, all’assolo di chitarra che se non ti era ancora uscita una lacrima te la tira fuori a calci nel c**o.