La politica è uno show che non piace più. Ecco perché

La politica è uno show, ma l’astensionismo dilagante dimostra che questo spettacolo non cattura più l’interesse dei cittadini. Tra pochi giorni andremo a votare, ma già oggi sappiamo con certezza quasi assoluta i nomi di larga parte dei parlamentari e dei senatori che verranno eletti. Sono i leader dei partiti che decidono nelle loro stanze chi avrà la certezza di essere eletto. Avete fatto caso a quanti partiti hanno nel loro simbolo il nome del leader? Il personalismo in politica è diventato sistematico, ma questo fenomeno contrasta con il nostro sistema creando un vero e proprio corto circuito. Mi spiego meglio.
Considerato che Il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento e che il Presidente del Consiglio (quello che in base all’esito delle urne si dimostrerà in grado di formare un Governo che possa ottenere la fiducia dalla maggioranza del Parlamento) viene nominato dal Presidente della Repubblica, è evidente che se i cittadini non possono scegliere chi li rappresenterà in parlamento la democrazia entra in crisi.
L’articolo 49 della nostra Costituzione dice che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Purtroppo la Costituzione non dice come debbano “concorrere con metodo democratico”. In sostanza la democrazia dovrebbe essere prima di tutto interna ai partiti che, attraverso i congressi e le correnti, andrebbero ad esprimere parlamentari in grado di rappresentare idee, tesi e territori.
Oggi, tuttavia, sono i leader e le élite interne ai partiti a decidere chi siederà alla Camera e al Senato e i pochi congressi che ancora vengono fatti, salvo rarissime eccezioni, sono delle farse.
I leader e le élite non trovano la loro legittimazione all’interno dei partiti, ma dentro lo show: un tempo sui giornali, poi in tv e alla radio, oggi prevalentemente sui social media. In questi contesti funzionano solo gli slogan, i concetti iper semplificati, le soluzioni a breve termine, i concetti che parlano alla pancia dell’elettore. L’unica cosa che conta è vincere, non governare.
Lo show si nutre di litigi, di delegittimazione dell’avversario, di insulti più o meno feroci, di richiamo ad ideologie fuori dal tempo. Voi avete capito chi ha una proposta seria, a medio e lungo periodo, in merito alla crisi energetica? Chi ha una proposta autorevole per l’economia reale e il tessuto produttivo di questo Paese? Chi ha il coraggio di affrontare giudiziosamente, pensando al futuro e ai nostri figli, il tema del lavoro e delle pensioni? C’è qualcuno che ha il coraggio di proporre misure impopolari che possano garantire un futuro migliore a chi verrà dopo di noi? Qualcuno che parli del nostro debito pubblico e di come invertire la tendenza? Questi temi, purtroppo, interessano alla fetta di elettorato che ha rinunciato a votare e che si rimbocca le maniche per fare da sé, nonostante il Governo, nonostante la politica.
A chi ama la politica consiglio un libro di Filippo Ceccarelli. Il titolo è “Invano. Il potere in Italia da De Gasperi a questi qua”. Ripercorrere la storia della DC, del PSI, del PCI, di tangentopoli, della discesa in capo di Silvio Berlusconi è molto utile per capire che il nostro Paese è prigioniero di un sistema che ha solidi anticorpi rispetto a qualsiasi forma di cambiamento. Non è colpa della politica. Forse non è nemmeno colpa dei politici. Forse è colpa nostra.

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