Bar del centro che chiudono alle 17, tanti negozi con le serrande abbassate, metropolitane mezze vuote, pensiline quasi deserte, tram e autobus che viaggiano con poche persone a bordo. Milano sembra essere rimasta sospesa in uno stato di semi-lockdown permanente.
Mancano i turisti, il cui numero si è drasticamente ridotto. Mancano gli studenti universitari e i tanti che venivano a studiare nel capoluogo lombardo dal resto del Paese. Mancano le fiere e i grandi eventi che portavano in città numerose persone anche dall’estero. E soprattutto mancano le persone negli uffici, dove gran parte di impiegati, quadri, dirigenti e consulenti è a casa, in smart-working, nell’hinterland o in altre città.
Viaggiando dalla periferia verso il cuore di Milano, in piazza Duomo, non si vedono altro che serrande abbassate di negozi, bar, ristoranti e, più in generale, degli esercizi di vendita al dettaglio. La pandemia ha reso più evidente la differenza tra centro e periferie, rivelando l’importanza di poter contare su un sistema di servizi distribuito su tutto il territorio.
Milano è cambiata. Ed è lecito domandarsi se questo possa essere un cambiamento in grado di modificare in modo permanente le abitudini e i flussi economici. I milanesi prima del lockdown erano i tanti lavoratori in trasferta, i pendolari, gli studenti, i buyer stranieri, gli addetti nelle migliaia di negozi aperti, i turisti, non solo chi è nato nel capoluogo lombardo. E i milanesi hanno lasciato Milano, come i nobili durante la peste raccontata nei Promessi Sposi di Manzoni.
“Sono partiti prima della mezzanotte. Nonostante le gride che proibivano di lasciare la città e minacciavano le solite pene severissime, come la confisca delle case e di tutti i patrimoni, furono molti i nobili che fuggirono da Milano per andarsi a rifugiare nei loro possedimenti in campagna”.
La Milano locomotiva del Paese è ferma e questo deve preoccuparci tutti, perché come la capitale del nord ha trainato per anni le regioni vicine e il resto dello stivale, così le difficoltà del momento possono indebolirci tutti quanti, compromettendo la ripartenza. Fare il tifo per Milano non è un’opzione, è un obbligo morale.
Le possibili soluzioni sono tante e i milanesi troveranno come sempre il modo di tirarsi su le maniche e ripartire, ma ci sono 2 spunti che mi hanno fatto riflettere molto in questi mesi.
Il primo arriva da Ezio Manzini, per molti anni docente al Politecnico, esperto di design per l’innovazione sociale. Manzini ha sottolineato come l’avvicinamento tra lavoro e abitazioni dovuto allo smart-working comporti anche un’opportunità in termini di rigenerazione dei quartieri che, in questo modo si potrebbero arricchire di presenze e di attività. E’ il concetto della città dei 15 minuti che ha adottato la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, come tema cardine della propria campagna elettorale, arrivando alla vittoria. La città dei 15 minuti dovrebbe offrire tutto ciò che serve e tutto ciò che si deve fare quotidianamente a meno di 15 minuti a piedi da dove si abita.
Il secondo spunto lo offre Roberto Sommella, giornalista, saggista e direttore di MF-Milano Finanza, che suggerisce di approfittare della Brexit per trasformare Milano in una nuova Londra. Per dare una forte spinta all’economia meneghina occorrerebbe intercettare i capitali che dovranno per forza lasciare la City (un soggetto attivo sulla piazza finanziaria deve, infatti, avere sede nell’Unione Europea), creando le giuste condizioni. Le commissioni sulle transazioni finanziarie, infatti, costituiscono un bottino davvero ingente. Londra è diventata la città più ricca e più cara al mondo proprio grazie alla tassazione al 20% di tutti i capitali esteri, ma residenti in loco.