Su Facebook è nato un gruppo che si chiama: “Non canto sotto la doccia e non fischio per strada per paura della Siae”. E’ un’idea simpatica per trattare con un velo di ironia la notizia che in questi giorni ha fatto infuriare il popolo del web. La Siae, infatti, avrebbe invitato i maggiori siti di trailer a carattere commerciale a regolarizzare la propria posizione perché diffondere al pubblico colonne sonore senza aver assolto i diritti rappresenterebbe una violazione della legge. Ci sono siti che con i trailers ci campano, ma tutti i blog, le newsletter e i magazine che incorporano, come oggetti provenienti da fonti terze, le anteprime dei film, come dovrebbero comportarsi? Ecco la risposta ufficiale: “i magazine e i blog cinematografici on line e gli altri siti aumentano la loro attrattività verso gli utenti (e quindi verso gli inserzionisti pubblicitari) arricchendo con i trailer e con la musica in genere i loro contenuti”. La Siae ha provato a spiegare le sue ragioni. “Dov’ è la sorpresa”, chiede la società, “se un’impresa deve pagare quando si procura le materie prime per fare business? Grazie ai produttori e ai distributori cinematografici i trailer arrivano pronti all’uso ai siti e alle riviste on line che trattano dell’argomento. L’unico diritto da pagare è quello per le colonne sonore. Chi le utilizza dovrebbe trovare tutti i titolari delle varie musiche, ma con la licenza della SIAE gli utenti risolvono il problema con un unico pagamento” (450 euro a trimestre, per essere chiari). La Siae avrebbe intrapreso questa azione “per diffondere la cultura del rispetto dei diritti degli autori anche su Internet”. Sarà, ma a molti è parsa l’ennesima gabella in stile “equo compenso”, l’obolo previsto dal discusso Decreto Bondi. A ben guardare il trailer non è altro che una pubblicità che serve a promuovere la fruizione di un audiovisivo, sul quale la Siae vanta i suoi legittimi diritti. Con questa trovata la società chiede di essere pagata per promuovere un film che, a sua volta, porterà soldi nelle sue casse.