Sul reddito di cittadinanza

Avevo 15 anni quando ho trovato il mio primo lavoro. Facevo consegne in bicicletta e distribuivo pubblicità nella cassetta delle lettere. Poi ho trovato lavoro in un karaoke, alla fine del liceo. Si finiva tardi e i miei non erano affatto contenti (anche se comprendevano il mio desiderio di non pesare su di loro per i miei hobby e il mio tempo libero). Mentre studiavo all’università ho lavorato in un Irish Pub: sono stato preso per lavare i bicchieri, poi ho servito ai tavoli mentre imparavo a fare i cocktail, sono passato dietro al bancone e quindi, finalmente, sono riuscito ad arrivare in cucina dove facevo panini giganti e bruschette che sono state in menù per lustri (chi si ricorda la “Nick”? Io no… avevo abbinato coppa arrosto, salsa tartara, formaggio misterioso e non ricordo più cos’altro di verde, forse rucola). A metà del mio percorso universitario ho trovato lavoro in un’agenzia come webmaster: erano i primi anni di Internet: per imparare a programmare e ad usare Photoshop, nelle sere libere frequentavo un circolo dell’informatica e studiavo parecchio.
Pochi mesi prima di laurearmi ho aperto la mia azienda grazie ai soldi guadagnati al pub e con l’aiuto della mia famiglia, ma siccome per un po’ di tempo – 3 anni circa – non sono riuscito a darmi uno stipendio per pagare chi lavorava con me, facevo il docente in mezza Italia per numerosi enti di formazione, rimbalzando dall’alfabetizzazione informatica per la terza età, al coaching per super manager milanesi.

In tutto questo arco temporale altri hanno scelto di stare sul divano. Scelta legittima, per carità, nulla da dire. Ma spero possiate capire meglio perché trovi così offensivo il reddito di cittadinanza.

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