Benedetto XVI ha parlato in questi giorni ai vescovi della Conferenza episcopale del Brasile e nel suo discorso si è soffermato sul concetto di famiglia ai giorni nostri. Parlando di divorzio e di coppie di fatto il Santo Padre ha focalizzato l’attenzione sul disagio dei figli che vivono “uno stato di fragilità in cui si consuma il dramma di chi è privato dell’appoggio del padre”.
La famiglia allargata, ha aggiunto, “fa sì che la maggior parte dei bambini di queste famiglie si sentano orfani non perchè sono figli senza padri ma perchè sono figli con troppi padri”. E tutto questo, ha affermato, genera “conflitti e confusioni interne” e porta i bambini a maturare un’idea alterata di famiglia che per la sua precarietà può in qualche modo essere assimilata alla convivenza.
La cosa che più mi ha colpito dell’intervento di Benedetto XVI è emersa quando il tema si è spostato sul concetto di convivenza. Secondo il Papa questa nasce da un sentimento di “individuale soggettività” che porta con sè “premesse di fragilità e di incostanza”. Le persone che convivono, secondo il Santo Padre, vengono “illuse e sedotte da stili di vita frutto del relativismo”.
Sono parole dure e coraggiose che, certamente, riceveranno più critiche che cenni di approvazione.
Eppure anche gli atei e chi professa credi differenti non può negare che, oggi, la famiglia non sia più quella istituzione forte e marmorea in grado di reggere la società. La mia generazione e quella precedente sono cresciute convinte che la “libertà” (di fare ciò che ci pare) fosse il bene più grande per l’uomo. Siamo cresciuti convinti che l’amore (o meglio la versione hollywoodiana dell’amore) sia l’obiettivo a cui ognuno di noi deve puntare.
Ci aspettiamo che le nostre storie d’amore debbano essere tutte come la scena finale di una commedia romantica, congelate sul bacio da lieto fine per l’eternità. Questo, tuttavia, non è l’amore su cui può essere costruita una famiglia.
Mi torna in mente un celebre aforisma di Pierre-Marc-Gaston de Lévis: “il segno che non si ama più lo si ha quando i sacrifici cominciano a costare; il segno che si ama poco lo si ha quando ci si accorge di farne”.
Le parole di Benedetto XVI, che tanto faranno arrabbiare i suoi delatori, sono un richiamo a riconsiderare il proprio concetto di amore. L’uomo ideale non scende vestito di azzurro da un destriero bianco, ma è disposto a compiere sacrifici per il futuro della propria famiglia. La donna ideale non è quella che riesce a sembrare una scolaretta 18enne a dispetto dello scorrere del tempo, bensì quella che riesce a tenere salde le redini del rapporto di coppia.
Costruire una famiglia costa sacrificio. Molto. Se non si è disposti a compiere sacrifici, se si rinuncia ad affrontare i problemi (ed il dolore che ne consegue), vivendo nella convinzione che da qualche parte possa esistere un partner migliore con il quale vivere un eterno lieto fine hollywoodiano, credo davvero che non si possa arrivare a comprendere quello che ha provato a spiegare il Papa.
Marito e moglie – secondo qualunque rito sponsale, compresi quelli laici – sono chiamati ad essere complementari. Sono due persone che portano a pienezza il coniuge (e nello stesso tempo anche se stessi) proprio per il fatto di trovarsi inseriti uno nell’altro.
E’ per questo che l’amore o è per sempre o non è amore.