Giuseppina Ghersi aveva 13 anni quando è stata stuprata, torturata e uccisa. Era il 27 aprile del 1945. Qualche anno prima (probabilmente all’età di 10 o 11 anni) aveva vinto un concorso nazionale scolastico, ricevendo una lettera dallo staff di Mussolini per complimentarsi del risultato. Una lettera standard, scritta d’ufficio. Ma questa lettera è bastata a giustificare l’accusa di “spionaggio” e di “collaborazionismo” da parte dei partigiani. La bimba è stata deportata insieme ai genitori in un campo di concentramento (anche i partigiani li avevano). Li, davanti agli occhi dei genitori, è stata picchiata a sangue, violentata a turno e poi barbaramente uccisa. Aveva 13 anni, insisto. Quale colpa possa avere una bambina di 13 anni è davvero incomprensibile.
Dagli atti dell’epoca resta la testimonianza di un uomo, il sig. Stelvio Murialdo, che racconta: “E proprio il primo era un cadavere di donna molto giovane; erano terribili le condizioni in cui l’ avevano ridotta, evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane eta’. Una mano pietosa aveva steso su di lei una sudicia coperta grigia che parzialmente la ricopriva dal collo alle ginocchia. La guerra ci aveva costretto a vedere tanti cadaveri e in verità, la morte concede ai morti una distesa serenità; ma lei , quella sconosciuta ragazza NO! L’ orrore era rimasto impresso sul suo viso, una maschera di sangue, con un occhio bluastro, tumefatto e l’ altro spalancato sull’ inferno. Ricordo che non riuscivo, come paralizzato, a staccarmi da quella povera disarticolata marionetta, con un braccio irrigidito verso l’ alto,come a proteggere la fronte, mentre un dito spezzato era piegato verso il dorso della mano”.
Secondo la storia il barbaro omicidio è avvenuto nel pomeriggio del 27 Aprile 1945. In quelle terribili ore Giuseppina e la sua mamma sono state pestate e stuprate mentre il padre, bloccato da cinque uomini, veniva costretto ad assistere allo spettacolo massacrato dal calcio di un fucile. Per tutta la durata della scena i suoi aguzzini sembravano interessati solo a scoprire dove la famiglia nascondesse denaro e valori. Secondo i testimoni, ad un tratto la piccola Giuseppina sembra abbia perso conoscenza perché – come riferisce l’esposto al Procuratore di Savona – “non aveva più la forza di chiamare suo papà”.
Giuseppina Ghersi è solo una vittima dell’odio. Un odio feroce che non può essere in alcun modo giustificato. Non ho scritto questo articolo per partecipare allo stupido gioco della “conta dei morti” tra destra e sinistra. Trovo solo giusto ricordare una vittima innocente che si trovava “sul lato sbagliato del fiume della storia”. Nei giorni della memoria si ricordi anche Giuseppina Ghersi, così come lo scorso anno ho ricordato Rolando Rivi, il seminarista di 14 anni trucidato dai partigiani comunisti per la sua fede (puoi leggere l’articolo qui).
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