Il Partito Democratico non ha una strategia di comunicazione. Ancora una volta provo ad esprimere un’opinione tecnica, non politica. Non esagero quando affermo che il Partito Democratico, in questo momento, non ha alcuna strategia di comunicazione. A questo va aggiunto il fatto che, complice una manifesta carenza organizzativa, il Pd non è in grado di trovare il linguaggio giusto per esprimersi in Rete. Ad aggravare la situazione, gli esponenti dem utilizzano i social in modo maldestro, quasi sempre controproducente, senza alcun tipo di coordinamento, contribuendo direttamente al successo dei loro antagonisti.
Ho provato ad analizzare sentiment e posizionamento del Pd a partire dalla seconda metà del 2016 quando, a mio avviso, ha avuto inizio un procedimento di autodistruzione della sinistra italiana. Prima di quel periodo Matteo Renzi era riuscito a conquistare una larga fetta di elettorato puntando sul tema della “rottamazione” e dello scontro generazionale. Messaggio chiaro, linguaggio semplice, contenuti emozionali. Il suo esprimersi con “passione” funzionava molto bene anche in Rete.
Conquistato il potere, il meccanismo si è incrinato. Il primo errore strategico che ha determinato il crollo del Pd è stato quello di legare l’esito del voto sul referendum costituzionale alla permanenza di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Una campagna di comunicazione impostata “a muso duro”, contro ogni logica. Da quel momento in poi il Pd ha iniziato ad arrancare, inanellando un’infinita serie di errori di comunicazione e prestando il fianco alle più efficaci strategie degli avversari.
Le forme di comunicazione monodirezionali (uno parla, l’altro ascolta senza diritto di replica) sono sempre meno efficaci, soprattutto in politica. Siamo nell’era della comunicazione multidirezionale, dove l’ascolto costituisce parte integrante di ogni campagna. Qui arriviamo al secondo ben più grave errore strategico. Il Pd ha smesso di ascoltare i propri elettori e soprattutto ha preso le distanze dalla propria base storica. Non ha più provato a sintonizzarsi con la pancia del Paese, con le sue paure, con le sue speranze. Lo rivelano tutte le analisi sui commenti e le reazioni in rete. Le parole chiave più utilizzate da elettori ed ex elettori per descrivere Matteo Renzi e i dirigenti del partito sono “arroganza” e “mancanza di umiltà”. La grande accusa che il popolo dei “delusi” rivolge al Pd è la smaccata carenza di empatia: la relazione sentimentale del partito con la base è andata in crisi sui temi cari alla sinistra, come il lavoro, il welfare o l’istruzione.
Con le battaglie sul referendum, sulle banche e sulla buona scuola, quando ancora si poteva scorgere una pianificazione nella comunicazione del Pd, Matteo Renzi e i suoi consulenti non si sono accorti di avere superato quel limite intangibile che porta repentinamente dal successo alla disfatta. Terzo errore: sono andati a cercare consensi nella direzione sbagliata. Speravano di recuperare elettori a destra, tra i delusi di Forza Italia, ma quegli elettori sono andati ad ingrossare le fila di Salvini o hanno rinunciato ad esprimersi. Come conseguenza del tentativo di sedurre gli elettori di Silvio Berlusconi, hanno perso molti voti a sinistra, confluiti verso i Cinque Stelle.
Dirigenti ed esponenti di spicco del Partito Democratico non hanno mai fronteggiato il problema con una strategia comune e condivisa, ma hanno peggiorato la situazione agendo ognuno per sé, spesso l’uno contro l’altro. Il crollo è stato rovinoso e a tutt’oggi non si è ancora arrestato.
La situazione del Pd va analizzata anche attraverso il confronto con le strategie degli altri partiti. La Lega sui social non esiste, tuttavia Matteo Salvini ha avuto l’intuizione di puntare su di sé, ascoltando gli elettori in modo meticoloso ed elaborando uno storytelling incentrato sulle emozioni. In Rete, protette dallo schermo, le persone si sentono più libere di manifestare le proprie passioni e di sfogare le proprie frustrazioni. Ecco perché risultano decisamente più efficaci i messaggi emotivi espressi con un linguaggio semplificato. Matteo Salvini non è percepito come un dirigente di partito, ma come uno “del popolo”, uno di cui ci si può fidare.
L’ascesa del Movimento 5 Stelle è frutto di una strategia raffinata e di un’esecuzione perfetta ad opera dalla Casaleggio Associati. Il consenso è stato costruito con mosse ragionate e molta pazienza, grazie ad un metodo più complesso che prevede anche la costruzione di notizie e canali alternativi ai mass media, nonché l’utilizzo di app, troll e bot programmati allo scopo. Anche qui Grillo e i suoi hanno scelto di porsi come espressione del popolo, portavoce delle persone semplici.
Salvini e Cinque Stelle hanno costruito un’immagine che è l’esatto contrario di quella dei dem, lontani anni luce dalla strada e dalla polvere, depositari di una verità assoluta che ostentano con sicumera. Alla fine basta un po’ di buonsenso per capire che – istintivamente – la gente tende a preferire persone normali (a cui si è disposti a perdonare qualche gaffe) rispetto ad una élite altezzosa che tratta con sufficienza chi si pone delle legittime domande su temi come l’immigrazione e la sicurezza.
Può affascinarti Paperon de Paperoni, ma nessuno preferisce Gastone a Paperino.