Oltre l’invidia. Verso una società del merito e dell’ingegno

“Avere più ingegno del comune è una grande colpa agli occhi dei mediocri”. Questa osservazione del giornalista Mario Missiroli mi rimbomba nella testa mentre rifletto sulle parole da utilizzare all’interno del discorso che sto preparando per un esponente politico, uno dei tanti che ho consigliato e supportato negli ultimi trent’anni. Più passa il tempo e più mi sembra di avere ingoiato la pillola rossa di Matrix e di non riuscire più a svolgere il mio ruolo di “spin doctor” senza percepire la realtà nella sua cruda essenza.

Al centro della riflessione di Missiroli giace un nemico insidioso e pervasivo, un demone che mi trovo a fronteggiare da sempre, in tutte le forme possibili: l’invidia.

Giotto Invidia
L’Invidia. Affresco di Giotto, Cappella degli Scrovegni, Padova.

L’invidia, questa malattia sociale, si manifesta in varie forme, ma sempre con lo stesso, tragico risultato: la demolizione sistematica del merito, dell’eccellenza e dell’ingegno.

Non è un fenomeno nuovo, ma nella nostra era, sembra aver trovato un terreno particolarmente fertile, proliferando in ogni angolo della società. L’invidia è un demone che si nasconde dietro il falso progressismo, dietro il becero conservatorismo, dietro l’ipocrisia di un pensiero unico che non ammette diversità, manifestandosi come una forza corrosiva, che mina le fondamenta stesse della collettività.

Questo fenomeno non è soltanto una questione di dispetti individuali o di gelosie personali; è il sintomo di una malattia più profonda che affligge la nostra società. Una società che, invece di celebrare le virtù dell’ingegno e del talento, sembra sempre più incline a premiare la mediocrità, a normalizzare l’invidia come se fosse un sentimento accettabile, se non addirittura desiderabile. Questo atteggiamento non fa altro che alimentare cicli viziosi di competizione distruttiva, in cui il successo altrui non viene visto come un’ispirazione, ma come una minaccia.

La presenza dell’invidia tra noi è un dato di fatto antico quanto l’uomo. Aristotele ci avvertiva che “essere invidiosi di un uomo virtuoso è un segno di quanto siamo lontani dalla virtù”. Nietzsche, con una delle sue acute osservazioni, ci ricordava come “l’invidia e la gelosia sono le bassezze che più direttamente attestano la povertà interiore di un individuo”. La tradizione cristiana, diversamente dal pensiero socialista, ha sempre cercato di contenere l’invidia, promuovendo la crescita attraverso l’ammirazione e il riconoscimento del merito. Questi ideali sembrano oggi più lontani che mai, lasciandoci in eredità una società frammentata e in conflitto.

Tornando alla comunicazione politica, oggi l’invidia non solo è tollerata; è diventata un’arma nelle mani di populismi che sfruttano e fomentano i peggiori sentimenti umani per ottenere consenso. In questo scenario, l’odiatore da social, armato del suo “patentino di vittima”, viene elevato a eroe, a simbolo di una lotta contro ingiustizie vere o presunte, in un ribaltamento totale dei valori che un tempo erano considerati fondamentali.

Riflettendo su questo panorama desolante, emerge con chiarezza un imperativo categorico: è necessario un risveglio collettivo, un ritorno a valori che pongano al centro l’eccellenza, il merito, l’ingegno, non come minacce, ma come faro guida verso una società più giusta e prospera. È tempo di riconoscere l’invidia per ciò che è: non un motore di giustizia sociale, ma una catena che ci trascina tutti verso il basso, soffocando il potenziale umano in nome di una falsa eguaglianza.

Questo è il motivo per cui, nel dialogo con politici e amministratori per cui gestisco la comunicazione, insisto costantemente su un approccio alternativo, incentrato su idee, proposte e progetti concreti. Un approccio che vada oltre il semplice obiettivo della “vittoria elettorale”, per concentrarsi piuttosto sulle azioni da implementare dopo averla conseguita.

Dicevo all’inizio che più passa il tempo e più mi sembra di avere ingoiato la pillola rossa di Matrix perché vedo l’amara realtà che si nasconde dietro le “tifoserie politiche”. In questi ultimi anni, il panorama sociale e culturale si trova al crocevia tra due visioni del mondo diametralmente opposte, entrambe con il potenziale di alimentare un clima di immobilismo e frustrazione. Da una parte, abbiamo una visione eccessivamente conservatrice, retrograda e immobilista, che si aggrappa al passato con paura e sospetto verso ogni forma di cambiamento. Questa prospettiva tende a vedere qualsiasi novità o evoluzione come una minaccia alla stabilità e alle tradizioni, frenando di fatto il progresso e l’innovazione.

Dall’altra parte, c’è chi si etichetta come progressista, promuovendo apparentemente il cambiamento e l’evoluzione sociale. Tuttavia, questa visione, pur presentandosi come aperta e inclusiva, spesso si oppone con forza alla meritocrazia, al riconoscimento dell’impegno individuale e al valore dell’eccellenza. In questo contesto, il progresso viene interpretato in modo superficiale, privilegiando l’apparenza dell’uguaglianza a scapito del riconoscimento delle competenze e del duro lavoro. Questo atteggiamento porta inevitabilmente a un’omologazione verso il basso, dove l’aspirazione al miglioramento e alla realizzazione personale viene vista con sospetto o addirittura ostilità.

Ecco perché la lotta contro l’invidia e la mediocrità è una lotta per l’anima stessa della nostra società. E’ una lotta altruista, per chi verrà dopo di noi.

È una sfida che richiede coraggio, integrità e la volontà di perseguire un bene più grande, superando le piccinerie e le bassezze che troppo spesso caratterizzano il nostro tempo. Solo così potremo sperare di costruire un futuro in cui l’ingegno e il merito siano celebrati, non come colpe, ma come i più preziosi alleati nella ricerca di un mondo migliore.

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