È vero o non è vero che “Si stava meglio quando si stava peggio”? Facciamocene una ragione: non si stava meglio prima. Affatto. E se avrete la pazienza di leggere questa riflessione fino in fondo, ve lo dimostrerò con dati oggettivi.
I principali indicatori di benessere come l’aspettativa di vita alla nascita, la quantità di persone sotto la soglia di povertà, la mortalità infantile, il grado di analfabetismo e il livello culturale erano molto peggiori un tempo rispetto ad oggi, non solo in Italia, ma anche nei Paesi più poveri. Il miglioramento continuo della qualità della vita ha contribuito a determinare la crescita demografica della popolazione mondiale e continua ad espandersi verso quote sempre maggiori di popolazione.
Guardando il grafico si può notare come nel 1820 quasi tutte le persone vivevano in condizioni di estrema povertà. Le cose non solo sono andate progressivamente migliorando, ma a partire dagli anni ’50 il benessere si è diffuso in modo esponenziale e continua a farlo.
Sono le nostre aspettative che crescono di pari passo e non ci fanno essere mai soddisfatti, ma la frase “si stava meglio prima” è oggettivamente (sottolineo la parola oggettivamente) una balla colossale. La storia recente in Italia ci racconta un passato di povertà, analfabetismo, disparità di classe e di genere, mortalità superiore e malattie di ogni sorta.
Non sono un inguaribile ottimista che vuole vedere a tutti i costi le cose in modo positivo. Ritengo che vivere nella nostalgia del passato possa farci perdere di vista il bello che c’è nel nostro oggi e nel nostro domani. La nostalgia è un sintomo di poca soddisfazione per il presente e di scarso ottimismo verso il futuro. Raggiunta una certa età, scatta un meccanismo per cui ci rivolgiamo al passato con nostalgia, solo perché il presente non corrisponde al mondo ideale che ci eravamo immaginati e perché il futuro comincia a farci un po’ paura.
Questa cosa avviene da sempre, come dimostrano queste frasi di migliaia di anni fa.
“Questa gioventù è marcia nel profondo del cuore. I giovani sono maligni e pigri. Non saranno mai come la gioventù di una volta. I giovani di oggi non saranno capaci di mantenere la nostra cultura”.
Incisione ritrovata su un vaso di argilla nell’Antica Babilonia (3000 avanti Cristo).
“La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, si burla dell’autorità, non ha alcun rispetto degli anziani. I bambini di oggi sono dei tiranni, non si alzano quando un vecchio entra in una stanza, rispondono male ai genitori. In una parola sono cattivi”.
Socrate (470 avanti Cristo)
“Il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico, i nostri ragazzi non ascoltano più i loro genitori, la fine del mondo non può essere lontana”.
Geroglifici attribuiti ad un Sacerdone dell’Antico Egitto (2000 avanti Cristo)
“Non c’è alcuna speranza per l’avvenire del nostro paese se la gioventù di oggi prenderà il potere domani. Questa gioventù è insopportabile, senza ritegno, terribile”.
Esiodo (750 avanti Cristo)
Torniamo ai dati oggettivi che riguardano il miglioramento delle condizioni di vita nel nostro Bel Paese. Nel 1895, la mortalità sotto i 5 anni era pari a 326 per mille nati vivi, con un impressionante 65% dei decessi dovuti a malattie infettive. Più di 3 bambini su 10 non arrivavano ai 5 anni di età. Con l’avanzare degli anni, grazie ai progressi nelle condizioni igieniche e sanitarie, il tasso di mortalità si è dimezzato entro il 1931, continuando poi a calare drasticamente fino agli anni 2000, dove il tasso di mortalità infantile è sceso a 3,9 per mille nati vivi.
Non solo la mortalità infantile è diminuita, ma anche l’aspettativa di vita è aumentata notevolmente. Nel 1900, la speranza di vita media in Italia era di circa 42.9 anni per gli uomini e 43.2 per le donne. Nel 2010, queste cifre sono aumentate rispettivamente a 78.9 e 84.3 anni. Questo miglioramento è attribuibile a numerosi fattori, tra cui l’avanzamento della medicina, una migliore alimentazione e un miglioramento generale delle condizioni di vita.
Piccolo inciso: questo discorso vale per tutto il mondo. In Africa, pur considerando che al suo interno i dati sono molto diversificati, l’aspettativa di vita alla nascita è passata da 26,4 anni nel 1925 a 63,2 anni nel 2019.
La qualità della vita non si misura solo con la durata della stessa, ma anche con l’alfabetizzazione e le opportunità di lavoro. Nel primo censimento del Regno d’Italia nel 1861, ben 17 milioni di italiani erano analfabeti. Nel censimento del 1951, il numero di analfabeti era sceso al 12,9% della popolazione, mentre nel 2001 era inferiore all’1,5%. Oggi, l’Italia è un paese altamente istruito, con il terziario che impiega la maggior parte della forza lavoro.
Un altro aspetto cruciale è la rappresentanza politica. Nel 1861, solo una piccola porzione della popolazione, quella più intellettualizzata e abbiente, aveva diritto di voto. Il suffragio universale è stato introdotto solo nel 1946, permettendo a tutti i cittadini di partecipare alle elezioni democratiche.
Infine, consideriamo la famiglia. Il modello patriarcale contadino del passato non era esente da problemi. Il potere era accentrato su un unico soggetto, con diritti di vita e morte sul coniuge in caso di infedeltà, e il divorzio era impensabile fino al 1970. Oggi, le famiglie godono di una maggiore equità e libertà, con leggi che proteggono i diritti individuali.
Questa fantomatica “età dell’oro” del passato non esiste e bisogna farsene una ragione. Frasi come “i giovani di oggi non hanno rispetto per gli anziani e non hanno voglia di lavorare”, “una volta si stava meglio”, “i rimedi tradizionali sono i migliori” e “peggio di così non può andare”, servono solo ad affrontare la vita con pessimismo, allontanando la possibilità di cogliere il bello che c’è e ci sarà sempre intorno a noi.