Considerati da alcuni solo dei “giochini scemi” per bambini e nerd, i videogiochi rappresentano un mercato che oggi vale circa 200 miliardi di dollari e che arriverà a valere 300 miliardi nel 2025. Solo il Italia è un giro d’affari da quasi 2 miliardi di dollari. Giusto per essere più chiari, il mercato dei videogiochi batte quello di cinema e sport messi insieme. Secondo la più recente indagine della International Data Corporation, il fatturato videoludico è cresciuto nel 2020 più del 20% rispetto al 2019, per un equivalente di 197.7 miliardi di dollari come ricavo totale, mentre il mercato del cinema e dello sport messi insieme ha generato un fatturato di 175 miliardi di dollari.

Ho giocato a Cyberpunk 2077 in questi giorni, il titolo più discusso del momento (per gli 8 anni che sono stati necessari per svilupparlo, per i difetti tecnici che si sono verificati nei sistemi old-gen, per il fatto che questo colossal AAA è stato sviluppato da una software house polacca, per il fatto che l’attore hollywoodiano Keanu Reeves abbia recitato interpretando un personaggio della storia e per mille altre ragioni) e quelle che vedete sono alcune immagini che ho scattato all’interno del gioco.

Basta un’occhiata superficiale a questi scatti (dove spicca il mio malvestito e barbuto alter ego virtuale) per capire quante competenze occorrano per sviluppare un intero mondo, disegnare dal punto di vista artistico personaggi, città, interni ed esterni di abitazioni del futuro, automobili e mezzi di trasporto, pubblicità sui cartelloni. Programmare l’intelligenza artificiale di tutto ciò che all’interno di questo mondo virtuale interagisce con il personaggio giocante, rendere realistica la fisica all’interno del sistema di gioco, scrivere dialoghi intensi e storie che si intrecciano in grado di incollare il giocatore allo schermo per oltre 120 ore, lavorare ad una colonna sonora con centinaia di brani, studiare una campagna di marketing che crei le giuste aspettative (8 milioni di persone hanno prenotato una copia del gioco anche anni prima che venisse ultimato) e potrei andare avanti per ore.

In un mercato dominato da Stati Uniti e Giappone, l’azienda polacca che ha realizzato questo titolo fattura 521 milioni di dollari l’anno, con un utile di 175 milioni, occupando 1.100 dipendenti. Il titolo “Cyberpunk 2077” ha venduto oltre 15 milioni di copie coprendo in 2 settimane i costi di 8 anni di sviluppo. Come vi dicevo questo titolo è anche al centro di una polemica per i bug tecnici, ma non è ciò su cui vorrei ragionare con voi oggi.

In questo scenario l’Italia purtroppo resta a guardare. Nonostante il nostro Paese sia famoso in tutto il mondo per la capacità di esprimersi dal punto di vista artistico, culturale e anche ingegneristico, restiamo ancorati alla vecchia idea che i videogiochi siano solo argomento per bambini e nerd. Non si è mai investito nello sviluppo di questo settore, come invece hanno fatto altri paesi europei, come la Francia o la Polonia. Non si è investito in formazione (noi facciamo un sacco di corsi di Word e di “Excel base base”) e non ci si spiega perché i nostri figli passino ore su Youtube a guardare Favij, Lyon, KeNoia e Ciccio Gamer invece di guardare Ballando sotto le stelle o la D’Urso. Gli incentivi sono una barzelletta. All’interno del Decreto Rilancio ho trovato un piccolo riferimento alle “iniziative di sostegno a startup innovative”, con un budget di 4 milioni di euro indirizzato a far crescere le piccole software house italiane che sviluppano videogiochi. Meglio di niente, direte voi, ma la verità è che questo decreto rivela la totale arretratezza culturale del nostro Paese e la miopia di chi investe a pioggia in iniziative inutili. Avete idea di quanto costi sviluppare un videogioco che si possa vendere in tutto il mondo? Non parlo di un giochino indie per il vostro smartphone, ma di un titolo Tripla-A? Noi sappiamo solo offrire inutili contributi a pioggia e questo avviene a livello nazionale – esaminando questo tema specifico, come molti altri – ma anche a livello locale. Pensate solo ai recenti contributi delle Camere di Commercio che distribuiscono un’elemosina da 100 euro alle aziende per “farne contente” il più possibile, senza che questo aiuti davvero nessuno. Né le aziende, né il Paese.








